Lucide e chiare sono queste parole di Benedetto XVI: ? Il concilio voleva segnare il passaggio da un atteggiamento di conservazione ad un atteggiamento missionario. Molti dimenticano che il concetto conciliare opposto a conservatore non è progressista ma missionario.
Che senso avrebbe infatti conservare il deposito della fede senza trasmetterlo, senza comunicarlo al prossimo? E quale progresso autentico sarebbe veramente possibile per la Chiesa e anche per l?umanità se non attraverso l?accettazione della Rivelazione che porta la salvezza eterna? E come potrebbe realizzarsi un mondo migliore per quanto riguarda la giustizia e la libertà senza accoglierne la premessa indispensabile, la Verità che sola può generare la civiltà dell?amore, quella società a misura d?uomo e secondo il piano di Dio, auspicata dalla dottrina sociale della Chiesa e in particolare da Giovanni Paolo II?
La prospettiva della missione è strettamente legata a quella del relativismo. E mi spiego: oggi è dominante un pensiero che è così detto debole cioè afferma che la verità non è conoscibile dall?uomo e quindi è assurda la pretesa di riferirsi a delle categorie universali valide per tutti. Quindi la conseguenza pratica di questo pensiero è che la fede per esempio non deve influenzare le scelte politiche di chi non crede perché ognuno è libero di pensarla come vuole. Ma questo è un delirio perché in realtà ogni costituzione si fonda su dei valori che comunque qualcuno ha ritenuto buoni per la maggioranza degli uomini, inoltre non potremmo parlare di diritti umani se non facessimo riferimento ad un bene che supera le mode e i costumi e non deve essere oggetto della decisione e della democrazia dei parlamenti. Il rischio sarebbe quello di determinare ciò che distrugge l?uomo a colpi di maggioranza.
Come dice il papa si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie.
C?è una malattia mortale nella nostra epoca ed è quella concezione che esercita un vero e proprio predominio culturale, che si chiama relativismo, perché nega la possibilità per l?uomo di conoscere la verità e sostiene la relatività di ogni affermazione e di ogni pensiero: tutto ciò che l?uomo dice e pensa non è mai oggettivamente vero, perché tutto è soggettivo e ogni singolo uomo è l?unità di misura delle cose. Così non è l?uomo ad adeguarsi alla realtà ma è la realtà a doversi adeguare all?uomo, a doversi conformare alle sue voglie e ai suoi desideri: se io desidero fabbricare figli in provetta, avere i diritti di un marito e di una moglie anche se semplicemente convivo, magari con un individuo del mio stesso sesso, abortire ecc., nessuna legge mi deve ostacolare, perché la valutazione morale di un?azione è soggettiva è relativa ai punti di vista.
Viceversa per i classici la verità è una conformazione, un?adeguazione alla realtà, perciò è l?uomo che deve adeguarsi alla realtà e non la realtà che deve adeguarsi ai suoi desideri. Ma se non è possibile conoscere la verità non è possibile giudicare oggettivamente le azioni umane e dunque esse finiscono sullo stesso piano, cioè vengono considerate uguali, allora le leggi debbono assecondare ogni mio desiderio ( come la regina Semiramide di Dante che trasformava ogni suo desiderio in legge). Se il criterio per legiferare diventano delle convenzioni decise fosse pure dalla maggioranza si apre uno scenario inquietante che può portare davvero l?uomo all?autodistruzione.
Conoscere la verità non significa trascurare la limitatezza dell?uomo perché anche se la verità è conoscibile la verità tutt?intera non si possiede mai, la ricerca della verità è infinita perché essa è inesauribile.
Conoscere la verità non vuol dire negare il pluralismo, in quanto sullo stesso oggetto è possibile sviluppare riflessioni differenti, quali contributi che si integrano a vicenda: se Tizio guarda una casa di fronte, dice sulla casa delle cose diverse da quelle che dice Caio, che descrive la casa come si presenta dal retro, e la messa in comune dei loro contributi è feconda. Così la ricerca della verità è un impresa collettiva, svolta dal genere umano nel suo complesso, per la quale vale l?immagine di Bernardo di Chiaravalle:?Siamo nani sulle spalle di giganti?. I giganti sono coloro che ci hanno preceduti, sui cui risultati noi ci possiamo appoggiare per vedere più lontano, ovvero per incrementare la nostra conoscenza, anche se magari di poco.
Conoscere la verità non vuol dire essere intollerante, perché solo la conoscibilità della verità può far da baluardo contro ogni tipo di malvagità umana compreso il totalitarismo. Questo infatti può essere condannato solo se è conoscibile la verità secondo cui l?uomo possiede una dignità intangibile, che non si deve assolutamente calpestare.
Quando una democrazia si allea con il relativismo, quando non esiste nessuna verità ultima la quale guida e orienta l?azione politica, allora le idee e le convinzioni possono essere facilmente strumentalizzate per fini di potere.
Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto o subdolo, come dimostra la storia.