È peggio dell’aviaria, ma non se ne parla. Infetta, dilaga, colpisce. È un protagonista della storia, ma lo nascondiamo, non vogliamo vederne la parte in scena. Come se a teatro il pubblico si rifiutasse di sorgere uno degli attori principali. Facesse finta che non esiste. Però piangesse ogni volta che qualcuno in scena viene colpito da lui, o ferito da quell’oscurato attore. Di lui parlano in pochi. Per restare nella metafora del teatro, i nostri critici teatrali – ovvero coloro che analizzano la società e i comportamenti, che stilano statistiche e prevedono scenari – non ne parlano. Lo trascurano. Ogni tanto qualcuno, come Papa Benedetto XVI qualche giorno fa, lo nomina. Lo indica. Ma quasi tutti, pubblico e critica, si voltano dall’altra parte. È più comodo far finta che non esista. Eppure, siamo stati turbati dalla gravità di un gesto come il rapimento del piccolo Tommaso vicino a Parma. E ogni giorno fatti orrendi, inspiegabili colpiscono vite umane ovunque. La settimana scorsa, su questo giornale, si riportavano i dati commentati dal criminologo Francesco Bruno a un convegno sulla riforma dell’assistenza psichiatrica: nei primi due mesi di quest’anno su 50 omicidi compiuti in Italia, 23 sono stati ad opera di persone con malattie psichiatriche gravi, 27 le vittime. Un abisso di male, dove responsabili e vittime sembrano prede di qualcosa che le mette insieme in un nodo maligno. Ecco, lui, il male. O come ha detto il Papa, il Diavolo. Ma non si può dire. Abbiamo deciso che il male non esiste. Che non ha, per così dire, personalità propria. Non è un attore autonomo. Come se fosse un incidente, che si può spiegare a partire da altre cose: che so, la malaeducazione, l’avidità, i guai sociali… Solo una malaugurata conseguenza. Allora basterà creare un individuo e una società senza più quei guai e il Male scomparirà. Come se non fosse in grado di avere vita propria. Come se non avesse forza, come se non ci fosse più bisogno, come ricordava il poeta Eliot, di esse re buoni. Cioè di lottare. Di braccare il nemico. Eppure lui torna. Anche dove sembra non esserci motivo. Nelle campagne vicino a Parma. E prende via un bimbo. Lo fa con le mani degli uomini. Mani e teste che si prestano, maledette, a quell’azione. Che si fanno corresponsabili. Lo fa da sempre, lo farà sempre. E noi dovremo sempre lottare. In noi, come ha ricordato il Papa, e fuori di noi. Fino alla fine del nostro tempo personale e del tempo universale. Senza smettere un attimo prima. Qualcuno tra i filosofi di quest’epoca superba ha ogni tanto richiamato la categoria del Male. In questi giorni anche un guru come Baudrillard lo ha fatto. Ma quasi sempre risolvono la presenza del Male nella cattiveria della guerra, o nell’esercizio del potere. Il male lo vedono come conseguenza di alcuni grandi orrori o deviazioni sociali. Come se quelle ne fossero le cause, invece che gli effetti. E allora il bene sarà, automaticamente, in ciò che si oppone al potere cattivo e alla guerra. Ma non sempre è così. Non sempre sono “buoni” coloro che si oppongono a certi mali sociali. A volte ne producono di peggiori. La faccenda è complicata. Il Diavolo si diverte a complicare le cose, diceva C.S. Lewis, quello di Narnia. La sua opera meglio riuscita è nel farci credere di non esistere. E credere che ogni male lo possiamo capire e curare con le nostre mani. Con strategie sociali, o case di cura. E così, mentre ci sentiamo beatamente bravi e potenti, lui colpisce. I santi cristiani, da Francesco a Madre Teresa, e tutti coloro che hanno fatto del gran bene agli uomini, non hanno mai pensato che quell’attore non esistesse. Lo hanno combattuto, per amore di quell’Altro Attore che ci chiede di fare la nostra parte. E che chiamavano, alla faccia di una forza che sembra dominare la storia, Signore.