I due fratelli Michele e Costantino, che assunsero come monaci il nuovo nome rispettivamente di Metodio e Cirillo, svolsero la loro opera missionaria nel IX secolo nell’Europa centrale, e sono ricordati a ragione come gli “apostoli degli Slavi”.
È loro grande merito di essersi adattati ai popoli da evangelizzare con metodi missionari e l’aver creato un nuovo alfabeto, che in seguito prese il nome di cirillico appunto da S. Cirillo, offrendo al mondo slavo con la traduzione della Bibbia, del Messale e del rituale liturgico, unità linguistica e culturale. Questo grosso regalo che i due fratelli fecero alle popolazioni slave (la stessa lingua russa è scritta con le lettere “inventate” da Cirillo) è stato ricambiato con intramontabile amore e devozione popolari. Ma in vita i due santi missionari non ebbero affatto “vita facile”, dovettero anzi lottare contro i malumori che sempre si coalizzano attorno ai grandi innovatori.
Questo periodo storico era caratterizzato da un Sacro Romano Impero ormai in declino, da una rapida espansione del dominio degli arabi che passavano di conquista in conquista e da un impero bizantino che stava vivendo un periodo di grande sviluppo e potere. In questo contesto si era anche in presenza della ascesa delle tribù slave, un tempo formate da rozzi predoni e disprezzati contadini dell’Europa centrale e ora potenze emergenti capaci di influenzare i destini del continente.
Grande importanza veniva data al loro ingresso nell’Ecclesia, e la Chiesa romana e quella bizantina se ne contendevano l’evangelizzazione. La contiguità geografica, l’abilità politica e le convenienze economiche favorirono l’influenza di Bisanzio. Ma per far penetrare la fede cristiana nel mondo slavo occorreva creare una scrittura unitaria per diffondere il Vangelo. Questo compito fu assolto da due fratelli greci di Tessalonica (oggi Salonicco): Costantino Cirillo e Metodio.
I due giovani, figli di un alto ufficiale dell’armata imperiale, erano nati e vissuti nella metropoli che più aveva conosciuto da vicino le tribù slave resistendo per secoli alla loro pressione. A partire dalla metà del IX secolo gli slavi furono gradualmente assorbiti nel mosaico etnico dell’Impero bizantino, e la loro lenta conversione al Cristianesimo andò di pari passo. Tessalonica era il maggiore centro di scambio commerciale e culturale fra greci e slavi, e molti suoi cittadini, specialmente i mercanti, parlavano la lingua slava.
La famiglia di Costantino e Metodio era con ogni probabilità di rango patrizio e occupava un posto di riguardo nella vita cittadina. I due giovani, dopo anni di vita spensierata, intrapresero separatamente le loro carriere: Metodio, il più anziano, nell’amministrazione dove, con rapido successo, raggiunse i più alti gradi; Costantino il più giovane, nato verso 1827, negli studi filosofici che completò a Costantinopoli sotto Fozio. Era versatissimo in filosofia e scienze e assimilò velocemente tutto quanto le celebri scuole della capitale avevano da offrire. Ben presto le sue straordinarie doti intellettuali e morali gli conquistarono l’affetto e la stima del potente Teoctisto, grande logoteta (una specie di superministro) dell’Impero, che volle destinarlo alle più alte cariche. Tuttavia l’alta posizione non soddisfece le aspirazioni di Costantino, che dette le dimissioni dalle sue cariche per ritirarsi in un monastero sul Bosforo. All’età di soli ventiquattro anni Costantino o Cirillo (nome che assunse solo in punto di morte, ma con cui è universalmente conosciuto) fece il suo singolare ingresso nel mondo missionario. Intorno all’anno 850 Cirillo fu inviato, in veste di teologo, filosofo e diplomatico, presso il califfato abbaside, che viveva allora anni di grande splendore, e stupì i suoi dotti interlocutori arabi con la sua sapienza. Al ritorno dalla missione araba, si ritirò in un luogo di ascesi sul Monte Olimpo di Bitinia, in Asia Minore, celebre centro monastico del tempo, per osservare una vita di povertà e di preghiera. Qui rincontrò il fratello Metodio che, mosso da sentimenti analoghi, aveva anche lui abbandonato le alte cariche amministrative. Forse erano stati i sommovimenti politici che segnarono quel periodo nella capitale a indurre i fratelli ad allontanarsi dal potere, ma probabilmente intervennero anche scelte più intime. Metodio si fece monaco, mentre Cirillo seguì una vita monacale senza prendere l’abito.
Nel 860 il Khan dei cazari sollecitò all’imperatore Michele l’invio di un dotto missionario. Il suo popolo seguiva un’ antica religione pagana, ma sia gli ebrei, che costituivano una classe dominante nel paese, sia i vicini musulmani premevano perché i cazari adottassero la loro religione. Se l’inviato bizantino fosse riuscito a confutare le tesi degli uni e degli altri, il Khan prometteva che il suo popolo avrebbe abbracciato la religione cristiana. Era un’ occasione da non perdere: i cazari, amici dell’impero, stanziati a nord del Mar Caspio, formavano un baluardo contro il comune nemico, gli slavi orientali capeggiati dai variaghi.
Il governo imperiale si affrettò a inviare una missione guidata da Cirillo, con suo fratello Metodio come assistente. Al ritorno dalla missione passarono per Cherson nella penisola Taurica (Crimea), dove Cirillo scoprì le reliquie di san Clemente papa che portò a Costantinopoli. Poco dopo la missione presso i cazari, giunse a Costantinopoli un’analoga richiesta da parte del principato della Grande Moravia, nell’Europa centrale. Il principe Ratislav sollecitava l’invio di un vescovo bizantino che ammaestrasse il suo popolo nella vera fede cristiana. Di nuovo Cirillo e Metodio si misero in viaggio. La Moravia, terra di frontiera della cristianità, doveva essere conquistata alla sfera d’influenza di Bisanzio.
L’opera di Cirillo e di Metodio, insieme ecumenica, culturale e politica, costituisce uno degli eventi fondamentali del loro secolo e di tutto il Medioevo. Le missioni di Cirillo e Metodio vanno inquadrate in un ampio disegno della cancelleria imperiale volto a cristianizzare tutti popoli slavi, potenzialmente nemici, per condurli sotto l’influenza religiosa, culturale, commerciale, politica e militare di Bisanzio. Per realizzare questo colossale progetto occorreva fornire i testi sacri, tradotti in lingua slava, a ogni clero e a ogni cancelleria dei nuovi stati che andavano formandosi per dare un’interpretazione univoca delle Scritture, e sicuri ammaestramenti nella vera fede secondo i canoni ufficiali del patriarcato di Costantinopoli.
Cirillo e Metodio, professori di filosofia, linguisti, diplomatici e missionari erano a capo di quest’opera e si può ritenere che nel loro ritiro sul Monte Olimpo, popolato di monasteri slavi, abbiano organizzato un vasto gruppo di traduttori e scribi che, avvalendosi di un alfabeto rudimentale di loro invenzione, approntassero manoscritti dei testi essenziali. Quando giunse l’ora della grande missione in Moravia, i due fratelli disponevano probabilmente di una rete di corrieri imperiali per rifornire gli avamposti della missione di nuove copie e nuovi testi tradotti. Cirillo, certamente uno dei più dotati linguisti di ogni tempo, si adoperò per ampliare e affinare la primitiva scrittura e per organizzarne
l’apprendimento nel nuovo clero slavo. Già al tempo della missione in Cazaria, aveva forse portato con sé il Vangelo e il Salterio in una prima traduzione slava, scritta con un alfabeto approssimativo, per la gente di lingua rus che sapeva di poter incontrare. Ora elaborò un vero alfabeto capace di rappresentare le sfumature fonetiche delle lingue slave. Questo alfabeto, detto “glagolitico” (dallo slavo “parola” o “discorso”) o “cirillico”, è una creazione assai originale, che non mostra derivazioni da altri alfabeti. È stato dimostrato che Cirillo ricavò le sue lettere da simboli crittografici usati dai bizantini in alchimia, magia e altre scienze esoteriche.
L’opera immensa dei fratelli di Tessalonica non si limitò tuttavia all’invenzione di un alfabeto capace di trascrivere le lingue slave. Per tradurre adeguatamente il Nuovo Testamento occorreva anche “inventare” un’enorme quantità di parole per esprimere concetti che non esistevano nella cultura di quei popoli. È per merito di Cirillo che le loro lingue acquistarono da allora un’ autonoma e ricca capacità espressiva. Gli sviluppi della missione in Moravia furono imprevedibili. Quel paese era sottoposto alla giurisdizione ecclesiastica di Roma, attraverso gli arcivescovadi di Salisburgo e quelli bavaresi, e il clero tedesco appoggiava in pieno l’espansionismo carolingio verso i territori slavi e non sopportava che il cristianesimo slavo si appoggiasse su testi e liturgia nelle lingue nazionali, segno evidente di indipendenza. Secondo i vescovi tedeschi, solo tre erano le lingue in cui potevano essere letti e commentati i testi biblici e dei Padri della Chiesa: l’ebraico, il greco e il latino. La loro opposizione a Cirillo e Metodio e ai loro allievi e seguaci fu durissima, tanto più che era evidente che questi ultimi avrebbero ben presto sostituito il clero tedesco presso gli slavi. Comunque i due maestri greci portarono a termine la loro missione in tre anni; quindi, con un gruppo di allievi, si misero in cammino verso Venezia, con l’intento di fare ordinare questi ultimi sacerdoti dai vescovi veneti e formare così un primo nucleo di clero nazionale moravo.
Giunti a Venezia, Cirillo e Metodio furono aspramente attaccati dal clero latino in nome del solito trilinguismo, una sciocchezza del tutto ignota a Costantinopoli. Il clamore della diatriba spinse il papa Nicola, ostile ai bizantini, a chiamare a Roma i due greci, probabilmente con l’intento di sanzionare il loro operato. Ma, giunti a Roma i due trovarono un nuovo papa, Adriano Il, assai più favorevole e aperto. Cirillo e Metodio, inoltre, avevano un vero asso nella manica, perché recavano seco le reliquie di san Clemente papa, da loro stessi ritrovate in Crimea. L’accoglienza del clero e del popolo romano fu trionfale. I libri slavi furono approvati e consacrati in San Pietro. Il papa stesso ordinò Metodio sacerdote, e sacerdoti furono ordinati alcuni dei seguaci slavi. Il papa presenziò a una messa in slavo in San Pietro.
Poche settimane dopo, stremato dalla fatica, Costantino, l’apostolo degli slavi, moriva a soli quarantadue anni. Quando sentì avvicinarsi la fine, abbandonò tutte le cure terrene, si fece dare la tonsura, assumendo il nome di Cirillo, e spirò da semplice monaco.
Il principe Kocel di Pannonia ottenne dal papa di avere Metodio presso di sé, in funzione di arcivescovo, ma Adriano Il fece di più: inviò Metodio come metropolita di tutti gli slavi, di Moravia e di Pannonia. Con questo atto, il papa voleva anche rafforzare la sua giurisdizione sulle terre slave e arginare l’invadenza dei tedeschi. Metodio divenne inoltre legato pontificio e la sua giurisdizione su entrambi gli stati slavi impedì che in uno di essi si formasse una Chiesa nazionale sotto l’influenza di Costantinopoli. La reazione dei vescovi bavaresi non si fece attendere: all’insaputa del papa, Metodio fu trascinato in un giudizio-farsa, imprigionato e torturato, e il suo seguito disperso. Solo dopo due anni il successore di Adriano Il, Giovanni VIII, venne a conoscenza di questi atti e fece liberare Metodio che ritornò in Moravia, nel frattempo ribellatasi all’imperatore tedesco. Metodio riprese la sua opera di apostolato e di educazione, che corrispose al periodo di maggiore fioritura dello stato moravo. Profondo conoscitore della lingua slava (allora unica lingua indifferenziata di tutti gli slavi) Metodio si dedicò a un’intensa produzione letteraria e di traduzione del greco. Grande giurista, si preoccupò di formare le basi testuali dell’amministrazione ecclesiastica. Tuttavia gli attacchi del clero tedesco continuavano con rinnovate calunnie e minacce, e ancora una volta il grande arcivescovo dovette recarsi a Roma per difendersi. Poi, improvvisamente, partì per Costantinopoli. Fu un viaggio rigeneratore quello dell’ultimo ritorno nella grande metropoli amica, con l’abbraccio del vecchio protettore, il grande patriarca Fozio, e l’entusiastica stima dell’imperatore Basilio I, che lo fece riaccompagnare nella sua sede con grande onore. Qui Metodio lavorò alacremente ancora quattro anni, ormai incurante degli squallidi attacchi dei suoi avversari. Portò a compimento la traduzione delle Scritture e un compendio dei grandi Padri della Chiesa. Poi, terminato il suo lavoro, celebrò una splendida liturgia di ringraziamento, e non mancò di introdurre in Moravia il culto del suo santo prediletto, Demetrio di Tessalonica. Finalmente, tre giorni dopo la domenica delle Palme dell’885, il grande arcivescovo raggiunse il fratello.