Ieri polemiz-zando e scancherando su Radio Radicale insieme al fotografo Oliviero Toscani a proposito di manifesti elettorali, baci omosex e non so che altro, Marco Pannella ha cambiato discorso e si è messo a inveire contro quello che ha chiamato un nuovo «feticismo». Il feticcio sarebbe, secondo lui, «la sacralità della vita». Questo idolo è stato, a suo parere, ormai imposto nella nostra società da una congrega di feticisti che ne alzano lo spettro. Costoro, i feticisti, si accaniscono ad esempio a pensare al bambino in pancia alla madre come a un vivo, e propalano nella società il malefico sortilegio del loro credere che la vita sia sacra. Contro questo feticismo immondo, Pannella alza la sua polemica. Da dove tragga tutta questa violenza non lo so. Da dove questi toni da vecchio gerarca, questa grossolanità nel trattar della vita (specie della vita non propria?)? Io non so da dove venga questa voglia di distruggere (perché anche una parola distrugge), di deridere il sentimento di rispetto e di devozione che fa cambiare vita a tante madri, che le muove nella fatica di fare figli, di servirli, di crescerli… Da quale serbatoio o cloaca di livore viene questa ansia di offendere un comune sentire e proprio nei giorni in cui la violenza demente su un bambino ha fatto pianger la sua vita – da parte dei genitori come di tanti e anche del presidente Ciampi – appunto come sacra? Da che fosso viene questo odio per un sentimento d’amore? Che strana perversione c’è, che superamento di ogni dura logica di affermazione politica, che voglia di scassinare, di far scempio? Sì, il duro e ripetitivo mestiere del «cardinale laicista» obbliga forse a spararle sempre più grosse. Difficile essere originali quando si ha una posizione solo “contro”. E per un voto in più (a proposito di feticci?) si finisce con lo spegnere anche i minimi lumi di rispetto umano. Ma non basta l’imminenza elettorale a spiegare questo odio verso un senso sacro dell’esistenza. Da dove questo odio rozzo ver so una categoria, quella di sacro, che non appartiene necessariamente a chi ha una fede matura ma che da sempre accomuna persone di fedi diverse, spesso di nessuna fede? C’è solo una spiegazione possibile. Solo una tremenda spiegazione. Colui che non ha niente di sacro non sopporta che qualcuno abbia qualcosa di sacro. Colui che non ama non sopporta che un altro ami più di lui. E di più: a volte, per cinica invidia, si obbliga a non amare. Non è soltanto una variante della famosa favoletta della volpe e l’uva: chi non ha qualcosa che desidera finisce per disprezzarla. È di più. È un’ira sorda, covata in oscuri anfratti di delusione e di cinismo. Una violenza che nasce da una continua violenza su se stessi. Così l’uomo che ha strappato da sé ogni reverenza verso qualcosa di più grande di sé, non sopporta che nessuno chiami “sacro” qualcosa, nemmeno la vita. L’uomo che vive solo tra feticci, pensa che tutti siano come lui. Ma Pannella è un uomo di mondo. Colto e astuto. Magari recita soltanto questa obbrobriosa parte. Se l’è messa addosso per recitar la scena che con altri ha deciso di recitare. Per consuete o nuove convenienze. E allora è ancora più triste. Più irresponsabile. Più penoso. Allora è doppiamente rivoltante. Questa offesa lanciata per livore o per gioco, al fianco dello strapagato fotografo, del genietto di quest’epoca violenta e furba, è, allora, ancora più livida e banale. Ad essa si oppone, più ancora delle mie poche indignate parole, l’evidenza di una carezza che una donna darà al suo bambino stamattina, o la commozione che il cuore e la ragione avvertono di fronte al grande e drammatico spettacolo dell’esistenza. Ad essa si oppone l’esperienza dei vivi.