Oggi mi è successo questo parlando con un cliente: l?argomento era una persona che conosciamo e che si è fatta male, in un incidente domestico. Mi dice che lui è fatalista cioè crede che se uno si debba far male se lo farà perché qualcuno più grande di noi ha voluto così. Mi racconta che è rimasto impressionato da un film con Antony Quinn in cui ha visto che ad un certo punto della vita la gente di quella tribù eschimese sa che la fine è arrivata e si prende su e va a morire. Mi spiega che la morte era qualcosa di molto naturale e accettato serenamente, molto diverso dal terrore che abbiamo noi oggi. A suo modo di vedere la colpa di questo terrore della morte è da imputarsi alla chiesa e al modo cristiano di vedere l?al di là con il peccato e l?inferno. Il ragionamento è che siccome chi ha peccato va all?inferno e pecchiamo tutti allora tutti abbiamo paura del castigo divino e la chiesa usa questa paura come un potere per tenere attaccati a sé chi ci crede. Il signore in questione poi continuava annoverando come complici del potere tutte le religioni e quindi fasulle e inventate perché se Dio c?è (e per lui c?è) non si lascia comprendere e incasellare dagli schemi religiosi. Senza che io dicessi niente poi ha cominciato a parlare di Cristo e come oggi la Chiesa non lo abbia capito e senz?altro ha voluto interpretarlo come a lei è piaciuto.
Tutto questo pensiero pur nella sua infondatezza era molto chiaro e mi ha fatto pensare che oggi per credere abbiamo bisogno della presenza di Dio. Quest?uomo sentiva una presenza di Dio perché vede che i capelli del nostro capo sono tutti contati, guarda la natura e si dice che qualcuno l?ha inventata, ha sperimentato come la materia finisce e poi sa anche che la scienza arriva fino a lì e poi c?è un mondo dello spirito dove lo scienziato non può saperne niente.
Molti insegnamenti della chiesa non gli sono arrivati o non gli ha voluti ascoltare , sa di certe malefatte (inquisizione, crociate, conversioni a forza) ma non dei testi conciliari e delle principali encicliche di questo secolo che invito tutti a leggere e a conoscere, il catechismo poi se lo ricorda a pezzi, va bene?..
Ma il punto fondamentale che mi frulla per la testa è che domandava la presenza di Dio.
Allora mi interrogavo: ma noi cristiani sappiamo dire che Dio c?è per esperienza? Sappiamo che il Signore esiste e ci parla perché lo vediamo nella nostra giornata? E soprattutto quello che facciamo è segno o per lo meno condizionato da questa presenza?
Ci può essere una contrapposizione tra il credere la vita eterna e la vita sulla terra, tra il paradiso e l?impegno nel mondo?
I cristiani a volte vengono visti come coloro che non si sporcano le mani e conservano il loro vestitino candido per il paradiso. Ma se guardiamo bene la vita del popolo di Dio, i Santi, hanno sempre contraddetto questo pregiudizio, con le opere, con il farsi prossimo, con il prendersi cura dei poveri, degli ammalati, dei deboli. Forse con più coraggio dei nostri tempi nel prospettare la pienezza della vita.
La speranza cristiana della vita eterna, che è fondata sulla Risurrezione di Gesù, non è per generare paura ma indica la prospettiva e il compimento della vita del cristiano, della coppia e della famiglia. La nostra esistenza fatta delle cose e dei sentimenti di ogni giorno non è un?isola circondata inesorabilmente dal male oscuro della non conoscenza e della morte, ma è salire verso Dio, la cui presenza si inserisce nelle pieghe quotidiane della vita offrendo loro direzione e forza. Fatichiamo a volte in questo riconoscimento. Nessuno aiuta noi, i bambini i ragazzi. Possiamo insegnare loro le preghiere ma io credo che anche loro ci domandino ?Papà ma Dio dov?è?? Alla televisione questa fede non c?è, sui giornali si respira che da questo mondo Dio è stato escluso, progressivamente c?è una banalizzazione di tutto. C?è una cultura che non ci aiuta per niente perché non ci sa dare una speranza, tutto è piatto. Il rischio è che anche il nostro encefalogramma lo sia: piatto, ci scorrono davanti morte e dolore, povertà e sofferenza, divorzi e aborti e noi siamo piatti.
Anche i grandi temi del senso della vita, della morte, domande fondamentali per dare una stabilità ma forse ancora di più una maturità alla persona, vengono di fatto dimenticate e saltate per rivolgersi solo a certezze di carattere scientifico e a temi affrontabili nell?immediato concreto perché non c?è il futuro: l?ambito delle promesse di Dio.
Spiace dirlo ma a volte anche la comunità cristiana, sì proprio la parrocchia, respira quest?aria, sì si parla di Paradiso e Inferno (quando se ne parla ) (omelie di Don Franco escluse, naturalmente) ma solo ai momenti di scacco della vita, della morte, del dolore, ?.senza far fermentare la vita quotidiana dalla forza propulsiva che viene dal cielo, dal credere che è la compagnia di Gesù Vivo che mi aiuta.
Il ricorso alla Provvidenza, alla presenza di Dio si fa allora molto raro, come raro è il pensare alle cose di questa terra come realtà che fioriranno nell?eternità.